Omelia del Vicario Generale monsignor Ivan Salvadori
UNO SPARTITO DI PIETRE… A LODE DELLA TRINITÀ
1. «Non vorrei vivere in un mondo senza cattedrali. Ho bisogno della loro bellezza e della loro sublimità. Ne ho bisogno di contro alla piattezza del mondo. Voglio levare lo sguardo verso le luminose vetrate e lasciarmi abbagliare dai loro colori soprannaturali. Ho bisogno del loro splendore»[1]. Così scriveva – qualche anno fa – il romanziere svizzero Pascal Mercier. In effetti, le grandi cattedrali europee hanno la capacità, non solo di rapire lo sguardo, ma di attivare una vera e propria esperienza estetica e spirituale. Ne era consapevole anche Hilaire Belloc – politico e uomo di cultura – che, giungendo a Como nel 1901, nel corso di un lungo pellegrinaggio esteriore e interiore che dalla Francia lo avrebbe condotto a Roma, annotò nel suo diario di viaggio: «giunsi quasi
inaspettatamente all’impressionante Cattedrale. Sembrava rivestita di marmo bianco, ed era, da ogni punto di vista, così squisita nelle sue proporzioni, così delicata nelle sue sculture e così trionfante nella sua impostazione, che dissi a me stesso: “Non c’è da meravigliarsi che la gente esalti l’Italia, se questa prima città d’Italia ha un monumento come questo”»
A partire da queste intuizioni, vorrei provare a interpretare lo “spartito di pietra” della nostra cattedrale per cogliere, nella sua splendida materia, il valore simbolico e spirituale dei principali stili architettonici che vi possiamo riconoscere: quello gotico delle tre navate, quello rinascimentale del presbiterio e delle absidi e quello barocco della cupola
2. Lo stile gotico delle navate. Quando la nostra Cattedrale fu edificata a partire dal 1396 nello stesso luogo dove sorgeva l’antica chiesa di Santa Maria Maggiore, le maestranze dell’epoca si lasciarono influenzare dall’architettura gotica che presentava – rispetto a quella romanica – due caratteristiche innovative: lo slancio verso l’alto e la luminosità. Grazie alle volte a sesto acuto, che poggiavano su robusti pilastri, fu possibile innalzare notevolmente l’altezza dei muri, così che essi – protesi verso l’alto – non solo invitassero alla preghiera, ma diventassero essi stessi preghiera. Nello stesso tempo, le nuove tecniche di costruzione permisero di aprire, tra i muri, ampie vetrate, anch’esse slanciate verso l’alto, così che la luce del sole – attraversando i vetri policromi – trasfigurasse, con i suoi raggi, gli spazi interni. Se lo slancio verso l’alto doveva esprimere l’anelito dell’uomo a Dio, la luce doveva invece essere segno della bellezza divina che – con i suoi colori – ci viene incontro e trasfigura le cose e gli uomini. Il gotico rappresentava così il desiderio dell’uomo di entrare – attraverso la materia – in un mondo puramente spirituale, inondato di luce, per lasciarsi rivestire, a propria volta, di luce. Questo movimento religioso e spirituale può essere efficacemente espresso con le parole del profeta Isaia: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is 60,1). I medievali sapevano molto bene che il movimento dell’uomo verso l’alto è sempre sostenuto da quello contrario della grazia che ci viene incontro e in Cristo ci dice: «Io sono la luce del mondo» (Gv 8,12).
3. Lo stile rinascimentale del presbiterio e delle absidi. Se ora lasciamo la parte gotica della Cattedrale e fissiamo lo sguardo sulle grandi absidi che circondano il presbiterio, e che furono edificate tra l’inizio del ‘500 e la seconda metà del ‘600, ci accorgiamo che vi domina un secondo stile: quello rinascimentale. Qui la tensione non è più verso l’alto. Vi domina invece la ricerca della simmetria, della perfezione geometrica e dell’ordine, come quello che, con l’aiuto delle scienze, gli uomini di quel tempo andavano scoprendo nella natura. La perfezione degli astri, del mondo e – soprattutto – dell’uomo era per loro una sorta di specchio nel quale contemplare, di riflesso, la presenza del Dio creatore. Anche ora, naturalmente, si guardava verso l’alto, ma scoprendo che l’Infinito abita nell’uomo e non c’è nulla – nell’ordine dell’universo – che non canti la sua gloria.
Lo aveva già intuito il grande Agostino che, in una celebre omelia, scriveva: «Interroga la bellezza della terra, interroga la bellezza del mare, interroga la bellezza dell’aria diffusa e soffusa. Interroga la bellezza del cielo, interroga l’ordine delle stelle, interroga il sole, che col suo splendore rischiara il giorno; interroga la luna, che col suo chiarore modera le tenebre della notte […]. Interrogali! Tutti ti risponderanno: Guardaci: siamo belli! La loro bellezza li fa conoscere. Questa bellezza mutevole chi l’ha creata, se non la Bellezza Immutabile?».
Attraverso la ricerca dell’ordine e della perfezione geometrica i rinascimentali volevano celebrare il fatto che ciò che si celebra nel tempio è un evento di salvezza: se il peccato è foriero di caos e di disordine, l’eucaristia che si celebra in chiesa ricostituisce l’ordine del creato con il suo creatore, ricompone l’unità, lega tutti gli uomini nel vincolo della carità. Ad essere celebrata è ora la perfezione dell’uomo, creato a immagine di Cristo, uomo perfetto. 4. Lo stile barocco della cupola. C’è però anche un terzo stile architettonico che possiamo contemplare nella nostra Cattedrale: è quello barocco, che trova la sua espressione più qualificata nella grande cupola settecentesca. Ora l’effetto che la partitura di pietre vuole suscitare nell’osservatore è la meraviglia. Non solo slancio verso l’alto e verso la luce, come nel Gotico, o l’ammirazione per l’ordine geometrico dell’universo, come nel Rinascimento, ma lo stupore per l’eccesso, il rapimento estatico – e senza fine – di fronte alla grandezza di Dio. In effetti, anche questo fa parte dell’architettura barocca: la ricerca del movimento. Come è stato possibile, ci domandiamo, lavorare la pietra con questa maestria, innalzare blocchi fino a un’altezza così vertiginosa? Perché – ci domandiamo con la donna del vangelo – «tutto questo spreco?» (Mc 14,4).
5. La risposta a questa domanda la troviamo se – abbassando lo sguardo – fissiamo gli occhi sull’antico altare trecentesco, dove si uniscono idealmente le linee gotiche, rinascimentali e barocche. Il grande spartito di pietra che è la Cattedrale è stato allestito perché in essa si celebrasse l’eucaristia e si adorasse così il Padre «in spirito e verità» (Gv 4,24), come abbiamo ascoltato dal vangelo.
L’eucaristia, con il suo incanto, è il grande dono con il quale Dio, la Trinità, si coinvolge con la nostra storia. È ultimamente proprio questo immenso dono di Dio agli uomini a giustificare tutto questo “spreco” di pietre, di legni, e di materia. A Dio che – nell’eucaristia – si dona tutto a noi, noi rispondiamo consegnando tutto noi stessi, compresa la materia del cosmo affidata alla nostra cura e trasformata dal nostro ingegno. È proprio nel mistero dell’altare che diventano percepibili, per noi, la luce impenetrabile del Padre (cantata dal gotico), la perfezione del Figlio che si dona (celebrata dal rinascimento) e l’eccedenza di amore dello Spirito (resa visibile dal barocco). Entrare nello spazio trinitario di Dio e lasciarsi investire dalla sua presenza: è questa la vocazione ultima dell’uomo.
6. Carissimi, lasciamoci inondare dalla bellezza di questo tempio e rendiamo gloria a Dio con tutto noi stessi. Non possiamo vivere in un mondo senza cattedrali. Abbiamo bisogno della loro bellezza e della loro sublimità. Abbiamo bisogno del loro splendore.
Mons. Ivan SALVADORI